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This is an Italian translation of Radical Empathy

Uno dei temi da affrontare nel nostro lavoro è cercare di aiutare popolazioni che la maggior parte delle persone non pensa valga la pena di aiutare.

Abbiamo trovato opportunità molto valide per migliorare la qualità di vita degli animali negli allevamenti intensivi, perché pochi altri sono interessati a cercarle. Mentre lavoravamo su una riforma dell’immigrazione, abbiamo assistito a grossi dibattiti su come l’immigrazione possa influenzare i salari delle persone già residenti negli Stati Uniti e a molte meno discussioni su quale impatto abbia invece sugli immigrati. Anche il nostro interesse per lo sviluppo e la sanità globale è piuttosto inusuale: molti statunitensi possono accettare che i soldi donati in beneficenza vadano all’estero, ma preferiscono donare a realtà locali perché danno maggiore priorità alle persone che abitano nel loro stesso paese rispetto a quelle che abitano nel resto del mondo.[1]

Per noi è fondamentale la domanda: “chi si merita la nostra empatia e il nostro interesse morale?”. Pensiamo che sia una delle domande più importanti quando si tratta di donare in maniera efficace.

Purtroppo, non crediamo di poterci affidare al senso comune o all’intuizione per ottenere una risposta: la storia ci offre fin troppi esempi di popolazioni ignorate, offese e private dei loro diritti fondamentali per ragioni che calzavano il senso comune della loro epoca, ma che oggi sembrerebbero indifendibili. No, noi aspiriamo invece all’empatia radicale: lavorare duramente per estendere la nostra empatia a tutti coloro per i quali dovremmo provarla, anche in quei casi in cui può sembrare insolito o persino strano.

Per spiegare la scelta di terminologia:

  • “Radicale” è inteso come il contrario di “tradizionale” o “convenzionale”.  Non significa necessariamente “estremo” o “totalizzante”; non estendiamo l’empatia a tutto e tutti (questo ci lascerebbe sprovvisti di un metodo per prendere decisioni morali). Significa lavorare duramente per prendere le migliori decisioni possibili, senza rimanere ancorati alle convenzioni.
  • “Empatia” è intesa come immaginarsi nei panni altrui e riconoscere le esperienze degli altri come degne di considerazione. Non si riferisce al sentire letteralmente quello che gli altri provano ed è perciò diversa da quella “empatia” criticata nel libro Contro l’Empatia (in cui vengono riconosciuti i vari significati del termine “empatia”, ma che si concentra esplicitamente su uno solo).

Il senso comune e l’intuizione non bastano

Nel libro The Expanding Circle (letteralmente, “Il cerchio in espansione”), Peter Singer scrive di come, nel corso della storia, “Il cerchio dell’altruismo si è allargato dalla famiglia e la tribù alla nazione e la razza […] fino a tutti gli esseri umani” (e aggiunge anche: “il processo non dovrebbe fermarsi qui”).[2] Per gli standard odierni, i primi casi che descrive sono suggestivi:

In principio, la distinzione tra persona membro del gruppo e persona estranea veniva applicata persino tra i cittadini di città-stato greche confinanti; infatti una lapide della metà del quinto secolo a.C. recita:

Questo memoriale è posto sopra la salma di un uomo molto buono. Pythion, da Megara, uccise sette uomini e spezzò sette punte di lancia nei loro corpi […] Quest’uomo, che ha salvato tre reggimenti ateniesi […] non avendo portato dolore ad alcuno tra gli uomini che abitano questa terra, scese nell’aldilà stimato agli occhi di tutti.

Questo è abbastanza in linea con la comicità con la quale Aristofane dipingeva l’inedia dei nemici (Greci) degli ateniesi, inedia causata dalla devastazione inflitta dagli ateniesi stessi. Platone, tuttavia, suggerì di fare un passo avanti nel campo di questa moralità: sostenne che i Greci non dovessero, durante le guerre, ridurre in schiavitù altri Greci, o devastare le loro terre o bruciare le loro case; queste cose dovevano essere riservate ai non-Greci. Questi esempi possono essere ritrovati in più e più occasioni. Gli antichi re Assiri si vantavano, attraverso iscrizioni su pietra, di come avessero torturato i loro nemici non-Assiri e di come avessero coperto le valli e i monti dei loro cadaveri. I Romani consideravano i barbari esseri che si potevano catturare come animali per poi essere usati come schiavi o come intrattenimento per le folle, facendoli combattere l’uno contro l’altro fino alla morte nel Colosseo. In tempi moderni gli europei hanno smesso di comportarsi in questo modo con gli altri europei, ma meno di duecento anni fa alcuni ancora consideravano gli africani come estranei alle logiche dell’etica, e pertanto utilizzabili come strumenti di cui impadronirsi per poi impiegarli in vari lavori. In modo analogo gli aborigeni australiani venivano considerati, da molti dei primi coloni inglesi, come una specie infestante, da cacciare e uccidere ogni qualvolta dessero qualche problema.[3]

La parte finale di questa citazione spazia verso eventi più recenti, verso fallimenti della moralità a noi più familiari. Negli ultimi secoli razzismo estremo, sessismo e altre forme di discriminazione — inclusa la schiavitù ⁠— sono stati praticati in maniera esplicita e senza bisogno di scusanti e spesso sono stati largamente accettati dalla parte più “rispettabile” della società.

Da un punto di vista contemporaneo questi sembrano comportamenti oltremodo vergognosi e coloro che per primi li hanno rigettati ⁠— i primi abolizionisti, le prime femministe ⁠— ci appaiono come persone che hanno fatto enormi quantità di bene. Ma all’epoca affidarsi al senso comune o all’intuizione non avrebbe necessariamente aiutato le persone a rifiutare quei comportamenti riprovevoli o a cercarne di utili.

I princìpi contemporanei sembrano in qualche modo superiori. Per esempio, è molto più raro che il razzismo sia propugnato esplicitamente (il che non significa che sia raramente praticato). Ad ogni modo, pensiamo che le norme della nostra epoca siano ancora fondamentalmente inadeguate per rispondere alla domanda: “chi merita la nostra empatia e la nostra attenzione morale?”. Un indizio di questa inadeguatezza è il discorso che negli Stati Uniti orbita attorno all’immigrazione, che tendenzialmente evita il razzismo esplicito, ma è spesso legato al nazionalismo — ignorando o svalutando i diritti e le preoccupazioni di coloro che non sono cittadini statunitensi (e ancor più di coloro che non risiedono negli Stati Uniti, ma che lo vorrebbero).

Intelletto vs. emozione

A volte sento dire che le atrocità morali tendono a manifestarsi quando si pensa alla moralità in modo astratto, perdendo di vista le più fondamentali basi emotive dell’empatia, e quando ci si allontana dalle persone che subiscono l’impatto delle nostre azioni.

Questo è vero in alcuni casi, ma drammaticamente falso in altri.

Le persone che vivono una vita pacifica sono spesso impressionabili se poste di fronte alla violenza, ma pare che questa sensibilità possa essere persa in modo inquietantemente rapido con l’esperienza. La storia ci offre svariati esempi di casi in cui numerose persone “comuni” si sono trovate casualmente o a volte anche felicemente a praticare atti crudeli e violenti contro coloro i cui diritti non erano riconosciuti.[4] Oggi, guardando la disinvoltura con la quale i lavoratori degli allevamenti intensivi maneggiano gli animali (come mostrato in questo video disturbante), dubito che le persone mangerebbero molta meno carne se dovessero uccidere gli animali personalmente. Non penso che il fulcro del problema sia che le persone percepiscano o meno le conseguenze delle loro azioni. Più importante è se riconoscono o meno come creature meritevoli di considerazione morale coloro che subiscono le conseguenze di queste azioni.

D’altro canto, sembra che ci sia qualche precedente nell’utilizzo del pensiero logico per raggiungere conclusioni morali che, a posteriori, sembrano incredibilmente lungimiranti. Per esempio, si può leggere la pagina Wikipedia su Jeremy Bentham, noto per aver basato i suoi principi morali sulla logica quantitativa dell’utilitarismo (da tenere in considerazione il fatto che ha vissuto tra il 1747 e il 1832):

“Argomentò a favore della libertà personale ed economica, la separazione di stato e chiesa, la libertà di parola, la parità di diritti per le donne, i diritti degli animali, la fine della schiavitù, l'abolizione di punizioni fisiche, il diritto al divorzio, [...] la depenalizzazione della sodomia”.

Puntare all’empatia radicale

Chi merita empatia e attenzione morale?

Se non si dà a questa domanda la giusta considerazione, si rischia di fare scelte atroci. Se invece si riesce a rifletterci correttamente, finanche ad arrivare a pensieri insoliti e non convenzionali, allora si può fare una quantità smisurata di bene.

Purtroppo, non è facile riflettere correttamente su questa domanda e noi stessi siamo tutt’altro che certi di starci riuscendo. Ma ecco alcuni principi che cerchiamo di seguire per fare del nostro meglio:

  • Riconoscere le nostre incertezze. Per esempio, siamo piuttosto incerti a riguardo di quali animali dovrebbero rientrare nel nostro sistema morale. Le mie personali riflessioni a riguardo della filosofia della mente, al momento, sembrano contrarie all’idea che, per esempio, i polli meritino attenzione morale. E il mio intuito dà enormemente più importanza agli esseri umani. Tuttavia, non penso che le mie riflessioni o il mio intuito siano fortemente affidabili, soprattutto tenendo conto che molte persone ragionevoli non sono d’accordo. E se i polli meritano davvero attenzione morale, la quantità e la vastità dei soprusi che subiscono è sconcertante. Tenendo presente le possibili diverse prospettive, preferisco non perdere le opportunità potenzialmente importanti di migliorare la qualità di vita di questi animali.

Penso che la nostra incertezza su questo argomento giustifichi il destinare risorse significative al benessere degli animali d’allevamento, così come l’evitare di usare un linguaggio che implichi che solo gli essere umani sono moralmente rilevanti.[5]

Ciò detto, non mi sento incerto a riguardo di tutte le nostre scelte insolite. Sono piuttosto certo che le differenze geografiche, di nazionalità e di razza non dovrebbero influenzare l’attenzione morale e che le donazioni dovrebbero essere coerenti a questo principio.

  • Essere estremamente cauti nel rifiutare troppo rapidamente argomentazioni “strane” a riguardo di chi meriti attenzione morale. Un numero relativamente esiguo di persone sostiene che gli insetti, e persino alcuni algoritmi eseguiti sui computer contemporanei, meritino attenzione morale. È facile e intuitivo ridicolizzare questi punti di vista, dato che all’apparenza sembrano così strani e hanno implicazioni così radicali. Come ho già spiegato, penso però che dovremmo dubitare fortemente del nostro istinto di rifiutare prospettive insolite a questo riguardo. La posta in gioco potrebbe essere decisamente alta se queste prospettive si rivelassero più ragionevoli di come inizialmente appaiono.

A oggi rimango poco convinto che gli insetti, o qualsiasi algoritmo eseguito da computer di oggi, siano buoni candidati per l’attenzione morale. Ma penso anche che sia importante mantenere una mentalità aperta.

  • Valutare la possibilità di sostenere un’analisi più approfondita. Luke Muehlhauser sta attualmente indagando[6] lo stato della ricerca e del dibattito corrente circa la domanda “chi merita attenzione morale?” (che lui chiama “la domanda sui pazienti morali”). È possibile che suggeriremo di finanziare altri studi, se identificheremo delle lacune in letteratura e delle opportunità per essere più informati. Nel futuro prossimo, un lavoro di questo genere potrebbe influire sulle nostre priorità a riguardo del benessere degli animali d’allevamento ⁠— per esempio, potrebbe influenzare la priorità che diamo al miglioramento delle condizioni dei pesci. Idealmente, le nostre opinioni sui “pazienti morali” dovrebbero essere sostenute da informazioni tratte da una vasta letteratura che comprenda il più grande numero possibile di riflessioni, indagini empiriche e discussioni di principio.
  • Non limitarci a essere “avanguardie”, perché problemi già largamente riconosciuti sono ancora molto dannosi. Nel nostro lavoro, ci ritroviamo spesso a concentrarci su obiettivi non convenzionali per le donazioni, come il benessere degli animali d’allevamento o come i rischi posti dalle intelligenze artificiali avanzate. Questo è dovuto al fatto che spesso troviamo opportunità per fare spropositate quantità di bene in aree che, a nostro parere, sono state piuttosto trascurate da altri. Ad ogni modo, il nostro obiettivo è fare il maggior bene possibile, non di cercare e sostenere le cause più “radicali” della nostra società. Quando ci troviamo di fronte a grandi opportunità di svolgere un ruolo nell’affrontare problemi più conosciuti ⁠— per esempio, nel sistema di giustizia penale degli USA —, le cogliamo.
  1. ^

     Per esempio, secondo i dati di Giving USA, solo il 4% circa delle donazioni statunitensi del 2015 erano destinate ad aiuti internazionali.

  2. ^

     Pagina 120.

  3. ^

     Pagine 112-113.

  4. ^

     Molti esempi sono esposti nel primo capitolo del libro The Better Angels of Our Nature.

  5. ^

     Nota a margine: spesso è davvero difficile evitare questo linguaggio. In genere utilizziamo la parola “persone” quando ci riferiamo a esseri che meritano attenzione morale, senza in realtà decidere anticipatamente se questi esseri sono umani e senza distrarre troppo i lettori occasionali. Un termine più preciso è "pazienti morali".

  6. ^

     È possibile trovare il suo ultimo report qui.

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